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Non è necessaria la crisi aziendale per un licenziamento per giustificato motivo

  • Immagine del redattore: Cristina Bonesi
    Cristina Bonesi
  • 14 dic 2015
  • Tempo di lettura: 2 min

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con sentenza n. 23620 del 18 novembre scorso, ha stabilito la legittimità, in linea di principio, del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato al fine di assumere personale più qualificato.

La vicenda trae origine dal ricorso proposto da una s.r.l. operante nel settore della sanità privata convenzionata, vistasi condannare in appello per il licenziamento di una propria dipendente assunta quale tecnico di laboratorio.

La società giustificava la scelta del recesso alla luce della crisi economica e del taglio dei fondi da parte del Sistema Sanitario Nazionale nonché della necessità di procedere ad una riorganizzazione della produzione, con sostituzione della lavoratrice licenziata con personale più qualificato (nella specie un addetto al laboratorio laureato in biologia e capace di espletare anche altre mansioni).

La Corte di appello riteneva non provata la crisi aziendale e giudicava illegittimo il licenziamento, con assorbimento della questione relativa all’attribuzione ad altro personale, con qualifica di biologo invece che di semplice tecnico di laboratorio, delle mansioni prima espletate dalla dipendente licenziata.

Investita della questione, la Corte di Cassazione, ha rilevato che il giustificato motivo oggettivo alla base del provvedimento era da riscontrarsi nella necessità di assumere per il laboratorio di analisi una figura più qualificata. Da ciò scaturiva la sopravvenuta inutilità delle mansioni affidate alla lavoratrice.

Infatti, hanno ritenuto gli ermellini che “il contratto di lavoro possa essere sciolto a causa di un'onerosità non prevista, alla stregua delle conoscenze ed esperienze di settore, nel momento della sua conclusione (art. 1467 cod. civ.) e tale sopravvenienza ben può consistere in una valutazione dell'imprenditore che, in base all'andamento economico dell'impresa rilevato dopo la conclusione del contratto, ravvisi la possibilità di sostituire un personale meno qualificato con dipendenti maggiormente dotati di conoscenze e di esperienze e quindi di attitudini produttive”.

L'esercizio di tale potere non è perciò sindacabile nel merito dal giudice a cui sfugge anche il controllo del fine perseguito dal datore, "considerato che un aumento del profitto si traduce non, o non solo, in un vantaggio per il sui patrimonio individuale, ma principalmente in un incremento degli utili dell'impresa ossia in un beneficio per la comunità dei lavoratori".

Dunque, il contratto può essere sciolto non solo per necessita di contrarre la produzione e di conseguenza ridurre il numero dei lavoratori, ma anche per realizzare economie.

Nel caso di specie, pertanto, i giudici di merito hanno mancato di verificare la concreta attribuzione all'altra dipendente, biologa, delle mansioni affidate precedentemente alla licenziata, o comunque la redistribuzione delle mansioni tra personale già presente o neo-assunto.

Della verifica di tale attribuzione nonché di quella relativa alla effettività della operazione di riorganizzazione del personale e redistribuzione delle mansioni si occuperà il giudice di rinvio.

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