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Periodo di prova: nuovi vincoli per i contratti a tempo determinato

  • Immagine del redattore: Cristina Bonesi
    Cristina Bonesi
  • 28 apr 2022
  • Tempo di lettura: 5 min



Roberto Camera – Rif. Ipsoa lavoro

Nei rapporti di lavoro a tempo determinato il periodo di prova dovrà essere stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell'impiego. E’ quanto previsto dallo schema di decreto legislativo, approvato dal Consiglio dei Ministri il 31 marzo, per l’attuazione della direttiva UE n. 2019/1152. La bozza di provvedimento, ribadisce inoltre i principi già consolidati nel nostro ordinamento nazionale, ove è previsto che sia la contrattazione collettiva a determinare la durata del periodo di prova entro il limite massimo di sei mesi. Ulteriori disposizioni del legislatore attengono alla reiterazione e al prolungamento del periodo di prova, nel caso in cui si vengano a verificare degli eventi che vanno a sospendere l'attività lavorativa.


Tra le varie disposizioni presenti nella bozza del decreto legislativo, approvato dal Governo nella seduta n. 70 del 31 marzo scorso ed attuativo della direttiva (UE) 2019/1152, è presente un articolo che detta alcuni princìpi in materia di periodo di prova.

In particolare, la norma (art. 7) ribadisce i principi già consolidati nel nostro ordinamento nazionale, ove è previsto che sia la contrattazione collettiva a determinare la durata del periodo di prova entro il limite massimo di sei mesi. L'affermazione evidenzia una durata ragionevole del periodo di prova, affinché il lavoratore non prolunghi eccessivamente una situazione di insicurezza lavorativa dovuta proprio all’eccessiva durata del patto di prova. Patto che, così come affermato dall’art. 2096 del codice civile, deve essere quel periodo entro il quale le parti verificano la convenienza reciproca del rapporto di lavoro prima che questi diventi definitivo. Una sorta di esperimento che forma oggetto del patto di prova e che dovrà risultare da atto scritto.

Ricordo che durante il periodo di prova ciascuna delle parti potrà recedere dal contratto di lavoro, senza obbligo di preavviso o di relativa indennità.

La nuova disposizione non termina qui ma evidenzia ulteriori elementi che fino ad oggi sono stati oggetto di una giurisprudenza non sempre univoca.

Tempo determinato

In primo luogo, viene prescritto che nei rapporti di lavoro a tempo determinato il periodo di prova debba essere stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell'impiego.

Pochi contratti collettivi, ad oggi, hanno affrontato la riproposizione del periodo di prova nei contratti a termine, basando la materia esclusivamente in prospettiva dei rapporti a tempo indeterminato. Ragion per cui, con l'intervento legislativo mi aspetto un'apertura da parte della contrattazione collettiva che possa percentualizzare la durata del patto di prova, riducendone la portata in relazione alla durata del contratto a termine.


In attesa che la contrattazione disciplini compiutamente la materia, sarà cura del datore di lavoro proporzionare la durata della prova alla durata del contratto a tempo determinato, avendo cura, a mio avviso, di non superare mai la metà della durata complessiva del rapporto di lavoro.

Stessa valutazione andrebbe effettuata anche in caso di instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto e cioè quando l’attività lavorativa sia svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno (part-time verticale), ovvero quando l’attività lavorativa sia svolta a tempo parziale e sempre limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno (part-time misto).

La criticità, nel costruire “in casa” la durata del patto di prova attiene al fatto che la proporzione non dovrà essere effettuata esclusivamente in funzione della sola durata del contatto di lavoro ma anche in relazione alle “mansioni da svolgere in relazione alla natura dell'impiego”. La formulazione generica di questo secondo elemento può rendere aleatoria qualsiasi riproporzione del periodo di prova, in considerazione del fatto che la valutazione potrebbe essere considerata soggettiva e come tale basata su informazioni altamente interpretabili. Ricordo che qualora un giudice dichiari illegittimo il periodo di prova in quanto sproporzionato rispetto ai parametri richiesti dal legislatore (durata e mansioni), ciò comporterà la nullità del recesso e con esso la stabilità del rapporto di lavoro sino alla data naturale di cessazione del contratto a termine, ovvero la corresponsione, da parte del datore di lavoro, delle mensilità retributive sino a quella che doveva essere la data di cessazione naturale del rapporto di lavoro.


Reiterazione del periodo di prova

Altro elemento attenzionato dal legislatore riguarda la reiterazione del periodo di prova.

La prova non può essere reiterata in caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento di mansioni già ricoperte dal lavoratore in rapporti di lavoro precedenti.

La tesi, a mio avviso, deve essere necessariamente rivista in relazione ad alcune casistiche che sono state fatte oggetto di sentenza da parte della Corte di Cassazione.

Oltre al caso di rinnovo del rapporto di lavoro per lo svolgimento di mansioni diverse, la giurisprudenza di legittimità ha ammesso la reiterazione del periodo di prova anche qualora sia decorso un “apprezzabile lasso di tempo” rispetto al contratto precedente (Cassazione - sentenza n. 8237/ 2015), ovvero qualora tra un rapporto di lavoro ed il successivo siano mutati, nel frattempo, taluni fattori come, ad esempio, il contesto sociale e lavorativo, le capacità professionali, le abitudini di vita, le condizioni di salute del lavoratore o l’organizzazione aziendale (Cassazione - sentenza 8237/2015 e ordinanza 28252/2018).

Ultima, in ordine di tempo, è la sentenza n. 22809 del 12 settembre 2019, con la quale i giudici della Suprema corte hanno evidenziato come la ripetizione del patto di prova in successivi contratti di lavoro col medesimo datore e per le stesse mansioni sia legittima ove sia dimostrata l'esigenza datoriale di verifica ulteriore del comportamento del lavoratore rilevante ai fini dell'adempimento della prestazione, in relazione a mutamenti che possano essere intervenuti per molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute.

È il caso di sottolineare, comunque, che l’esigenza di reiterare il periodo di prova va valutata compiutamente dal datore di lavoro, avendo chiaro che ciò potrà comportare un eventuale contenzioso con il lavoratore, qualora la motivazione della ripetizione del patto di prova non sia coerente con le ipotesi esposte dalla giurisprudenza e non sia evidente dal contratto individuale sottoscritto tra le parti.


Sospensione del periodo di prova

Ultima disposizione attiene al prolungamento del periodo di prova, nel caso in cui si vengano a verificare degli eventi che vanno a sospendere l'attività lavorativa.

La stessa corte di Cassazione aveva già, in passato, sottolineato come la funzione del periodo di prova dovesse essere quella di consentire alle parti di verificare la convenienza della collaborazione reciproca. Qualora ciò non sia stato possibile, in relazione ad eventi non prevedibili al momento della stipulazione del contratto, il periodo di prova doveva essere necessariamente prolungato per consentire la realizzazione dell'esperimento.

Ad oggi, è la contrattazione collettiva nazionale che regolamenta quali sono gli eventi che possono sospendere il periodo di prova. Con la vigenza del prossimo decreto legislativo, sarà il legislatore che disporrà gli eventi interruttivi che potranno portare ad un aumento proporzionale del periodo di prova. Questi saranno: la malattia, l'infortunio ed il congedo di maternità o di paternità obbligatori.

Esclusioni

Sono esclusi dalle prossime novità normative in materia di patto di prova, i dipendenti delle Pubbliche amministrazioni, per i quali si applica quanto previsto dall’articolo 17 del D.P.R. n. 487 del 9 maggio 1994.

Detta disposizione prevede l’assunzione in servizio in via provvisoria, sotto riserva di accertamento del possesso dei requisiti prescritti per la nomina. La durata del periodo di prova è differenziata in ragione della complessità delle prestazioni professionali richieste e viene definita in sede di contrattazione collettiva.



 
 
 

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