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Licenziamento economico legittimo anche senza una crisi aziendale

  • Immagine del redattore: Cristina Bonesi
    Cristina Bonesi
  • 5 lug 2017
  • Tempo di lettura: 2 min

Con la sentenza n. 13015 del 24 maggio 2017, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla questione se il licenziamento per giustificato motivo oggettivo debba essere necessariamente motivato da una crisi aziendale o da situazioni sfavorevoli di mercato o possa anche essere il risultato di una riorganizzazione finalizzata a migliorare la produttività e ad aumentare il profitto.

Nello specifico, l’azienda aveva attuato un riassetto organizzativo che aveva comportato, tra l’altro, il licenziamento di un dipendente e l’assegnazione delle mansioni ad un altro collega, con più anzianità di servizio e maggiore carico di famiglia; il lavoratore licenziato impugnava il recesso in quanto a suo dire illegittimo, deducendo la presenza di utili di bilancio e di vari investimenti per ingenti somme di denaro, ciò che faceva desumere una situazione economica sostanzialmente positiva per l’impresa all’epoca del recesso.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso del lavoratore e confermato la legittimità del licenziamento, ritenendo irrilevanti tali ultime circostanze al fine della genuinità del provvedimento espulsivo.

Invero, ponendosi in linea con un recente orientamento ormai consolidato (cfr. Cass. n. 13516/2016), gli Ermellini hanno affermato che il datore di lavoro, nel procedere alla riorganizzazione dell’azienda, può ricercare un maggiore profitto economico anche attraverso una riduzione del costo del lavoro e una diversa ripartizione delle mansioni, che rendano più efficiente la produzione aziendale – purché l’obiettivo non sia perseguito esclusivamente con il mero abbattimento del costo del lavoro, ossia con la sostituzione di un dipendente con un altro meno retribuito.

Ciò significa che il datore di lavoro, per dimostrare la genuinità del provvedimento, non dovrà necessariamente provare l’esistenza di sfavorevoli situazioni di mercato o di perdite d’esercizio, in quanto tali fattori non vengono richiesti dalla norma di riferimento in tema di licenziamento per motivo oggettivo (art. 3, L. n. 604/1966); il “giustificato motivo” potrà dunque essere individuato anche in caso di una diversa ripartizione dei compiti, in seguito alla quale una o più posizioni si trovino ad essere in esubero e non possano più essere riassorbite tramite il c.d. repêchage, a patto che, ovviamente, tale redistribuzione di mansioni sia causa del licenziamento e non mera conseguenza di esso.

Resta inteso, precisa da ultimo la Corte, che compito del Giudice è comunque quello di verificare che la riorganizzazione sia genuina ed effettiva e non pretestuosa e preceda, da un punto di vista logico, il licenziamento stesso.

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