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Lavoro intermittente

  • Immagine del redattore: Cristina Bonesi
    Cristina Bonesi
  • 27 giu 2016
  • Tempo di lettura: 2 min

Il lavoro intermittente (o a chiamata) è stato introdotto nell'ordinamento del lavoro dal D.lgs. n. 276/2003 come una particolare tipologia di subordinazione avente ad oggetto la prestazione effettuata senza soluzione di continuità ma solo su richiesta del datore di lavoro: infatti il contratto determina la facoltà per il datore di chiamare una o più volte il lavoratore, per lo svolgimento della prestazione, nel rispetto di un termine di preavviso non inferiore ad un giorno lavorativo.

Si tratta di contratti, molto utilizzati in certi settori come la ristorazione e il turismo, con cui un'azienda può reclutare un lavoratore in maniera saltuaria, quando ha bisogno di lui per periodi di tempo che non possono essere determinati a priori, per esempio quando deve affrontare dei picchi di produzione.

Si distingue tra: - lavoro intermittente con espressa pattuizione dell’obbligo di disponibilità del lavoratore (obbligato a restare a disposizione del datore di lavoro per effettuare prestazioni lavorative quando richiesto), il quale ha diritto ad un’indennità mensile di disponibilità per i periodi in cui è in attesa id utilizzazione; - lavoro intermittente senza obbligo di disponibilità del lavoratore (non obbligato contrattualmente ad accettare la chiamata del datore di lavoro) in cui non ha diritto all'indennità specifica.

In entrambi i casi, per i periodi lavorati, ha diritto ad un trattamento economico e normativo complessivamente equivalente a quello di un lavoratore di pari livello, a parità di mansioni svolte e in proporzione alla prestazione eseguita.

La disciplina del lavoro intermittente è stata risparmiata dalla mannaia del governo e “trasferita” dal D.lgs. n. 276/2003 nel nuovo schema di decreto (artt. da 11 a 16) con impercettibili modifiche per lo più lessicali che lascia sostanzialmente immutato lo scheletro di questa tipologia contrattuale.

Tra le novità, segnaliamo la previsione relativa ai casi di ricorso al lavoro intermittente, ossia quella contenuta all'art. 1 c. 1 dello schema di decreto: in mancanza di contratto collettivo, l’individuazione dei casi di utilizzo del lavoro a chiamata è rimessa al Ministero del Lavoro con decreto non regolamentare. Tale disposizione sembra volta a superare definitivamente l’inerzia della contrattazione collettiva nell'individuazione delle ipotesi di ricorso al lavoro intermittente.

Inoltre, nella nuova disciplina non troviamo più, in caso di rifiuto ingiustificato di risposta alla chiamata la sanzione aggiuntiva, il “congruo risarcimento del danno nella misura fissata dai contratti collettivi o, in mancanza, dal contratto di lavoro” (ex art. 6 c. 6, D.Lgs. 276/2003).

Immutati restano i divieti di ricorrere al lavoro intermittente, il diritto all'indennità di disponibilità e viene confermata anche l’attuale modalità tecnologica (sms) di tracciabilità dell’attivazione del contratto.

I vincoli, già previsti dalla riforma Fornero per questo tipo di assunzioni e non modificati dalla riforma del lavoro, non sono applicabili quando un dipendente viene impiegato per più di 400 giornate nell'arco di tre anni. Se viene superato tale limite, il contratto a chiamata è assimilato per legge a un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato.

https://www.facebook.com/Studio-Bonesi-consulenza-del-lavoro-a-Brescia-676470409109594/

www.studiobonesi.com

 
 
 

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