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Lavoro accessorio, autonomo o subordinato

  • Pasquale Staropoli
  • 10 dic 2015
  • Tempo di lettura: 2 min

Ha destato scalpore il recente interesse dei mezzi di informazione sul lavoro accessorio, indicato come strumento fuorviante delle politiche occupazionali e metodo utilizzato per violare la normativa posta a garanzia dei lavoratori subordinati.

Al netto dei condivisibili giudizi negativi sulle pratiche elusive, non appare però inutile una breve indagine, oggettiva, sui connotati, effettivi, dell’istituto assurto alla ribalta della cronaca.

Il lavoro accessorio, come dalla definizione che si ottiene dall’art. 48 del D.lgs. n. 81/15 (peraltro sul punto sostanzialmente riproduttiva di quella previgente), intende per prestazioni di lavoro accessorio quelle attività lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 7.000 euro nel corso di un anno civile, con l’ulteriore limite di 2.000 euro, riferito al singolo committente.

L’utilizzo, da parte del legislatore, delle espressioni contenute nell’art. 48 quali “prestazioni di lavoro” accessorio e “attività lavorativa” ha fatto ritenere diffusamente alla migliore dottrina, che si tratti di un caso – praticamente unico per il nostro sistema giuslavoristico – in cui il legislatore si è disinteressato nella natura del rapporto di lavoro.

Per la prima volta il legislatore, con il lavoro accessorio, considera irrilevante la summa divisio tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, che pure informa l’intero nostro diritto del lavoro, per definire la natura ed il campo di applicazione del lavoro accessorio con esclusivo riferimento al limite economico: fintanto che l’importo corrisposto con il metodo dei voucher non supera i limiti legali, il rapporto di lavoro è legittimo e non è richiesta una specifica qualificazione della natura del rapporto di lavoro.

Si tratta per la verità di una novità relativa, perché anche la disciplina del lavoro accessorio previgente al “Jobs act” era informata al medesimo principio. Le nuove norme hanno soltanto modificato (aumentandolo) il limite economico, che rimane, in via generale, l’unico criterio legale di individuazione della legittimità del rapporto di lavoro accessorio, che ben può riguardare, perciò, anche un rapporto di lavoro reso – nell'ambito dei limiti ricordati – in regime di subordinazione.

Del resto il legislatore, quando ha voluto intendere la sussistenza di ulteriori limiti per il ricorso al lavoro accessorio, ha espressamente dichiarato tali intendimenti inserendoli (es. in agricoltura) o vietando del tutto il ricorso al lavoro accessorio, come avviene in materia di appalti di opere o servizi.

www.studiobonesi.com

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