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“Prestare” manodopera ad altra società in mancanza di iscrizione all'albo è manodopera abusiva

  • Immagine del redattore: Cristina Bonesi
    Cristina Bonesi
  • 5 ago 2015
  • Tempo di lettura: 3 min

Corte di Cassazione - Sentenza n. 32697 del 27 luglio 2015 Il Tribunale ha condannato l'imputato alla pena dell'ammenda, per il reato di cui agli artt. 4 e 18 del d.lgs. n. 276 del 2003 per avene fornito, nella sua qualità di amministratore unico, undici lavoratori per un totale di 2764 giornate ad un’altra società, senza essere iscritto all'apposito Albo delle Agenzie. In particolare, la società a cui appartenevano i lavoratori aveva ricevuto l'incarico di inviane i propri lavoratori presso la società che li avrebbe utilizzati da parte di una società terza della quale lo stesso imputato era legale rappresentante. Quest'ultima società aveva sua volta stipulato un contratto di appalto con una quarta società, anche essa riconducibile all'imputato, la quale aveva sua volta concluso un contratto di appalto con la società che poi avrebbe usato i lavoratori. Secondo quanto ritenuto dal Tribunale, l'attività lavorativa svolta all'interno della filiale della società ospitante consisteva nel deposito di merce, pacchi, lettere, documenti e nel loro trasporto presso i clienti. I lavoratori forniti dalla società che li aveva assunti venivano coordinati e ricevevano le direttive sui turni di lavoro dai responsabili della filiale della società che li ospitava. La stessa formulava eventuali contestazioni sul loro operato e autorizzano le eventuali assenze; i lavoratori in questione erano anche tenuti alla registrazione della presenza giornaliera su un apposito foglio firma presso l’azienda utilizzatrice ed ospitante. L'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione contro la sentenza della quale ha chiesto l’annullamento, adducendo tre motivi: 1 - mancanza e contraddittorietà della motivazione in punto di prova della sussistenza dell'elemento oggettivo del reato: gli 11lavoratori cui si riferisce l'imputazione svolgevano mansioni di tipo meramente esecutivo, connotate da un'estrema semplicità e non ricevevano, perciò, alcuna indicazione o direttiva su ciò che dovevano fare. Inoltre l'intero processo produttivo era supervisionato da due dipendenti della ospitante; 2 - mancanza e contraddittorietà della motivazione circa la dimostrazione della sussistenza di una somministrazione di manodopera. Vi sarebbe stata, sul punto, una sostanziale inversione dell'onere della prova, indebitamente posta a carico dell'imputato; 3 - carenza di motivazione in ordine alla diminuzione della pena in misura inferiore al terzo in conseguenza della concessione delle circostanze attenuanti generiche, pur in presenza di elementi positivi di valutazione in tal senso risultanti dalla stessa sentenza impugnata. La Cassazione ritiene che il ricorso è infondato. Per quanto attiene ai primi due motivi si premette un richiamo alla giurisprudenza consolidata della Corte stessa, secondo cui in tema di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, la distinzione tra il contratto di appalto e quello di somministrazione di manodopera va operata non soltanto con riferimento alla proprietà dei fattori di produzione, ma altresì con riferimento alla verifica della reale organizzazione dei mezzi e dell'assunzione effettiva del rischio d'impresa, in assenza dei quali si configura una mera fornitura di prestazione lavorativa che, se effettuata da soggetti non autorizzati configura il reato di cui all’art. 18 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (ex multis, sez. 3, 25 novembre 2004, n. 861, rv. 230664). La medesima società fornitrice, infatti, ammette che i lavoratori fomiti erano coordinati da due dipendenti della azienda ospitante, pur cercando di minimizzare la rilevanza di tale coordinamento in base al presupposto che le attività svolte dai lavoratori sarebbero state semplicissime. Chiaro è che i dipendenti non erano coordinati dalla società che li aveva assunti, con la conseguenza che certamente le direttive sull'attività da svolgere non provenivano da quest'ultima società. Il tutto confermato da testimonianze con l’aggravio che i fogli presenze erano registrati direttamente dalla società ospitante. Né può essere attribuito alcun rilievo al fatto che il foglio presenze fosse poi inviato alla società fornitrice, perché dagli atti non emerge che quest'ultima esercitasse alcun potere direttivo sui lavoratori, tanto che tale invio consentiva alla società dell'imputato di quantificare nei confronti della ospitante i corrispettivi dell'abusiva somministrazione di manodopera. In conclusione, il Tribunale ha fornito in punto di responsabilità penale una motivazione che, pur nella sua sinteticità, appare pienamente adeguata e coerente sia in relazione alla valutazione delle dichiarazioni del teste T. sia in relazione al raffronto tra queste e le dichiarazioni, spesso incerte e comunque mai di segno espressamente contrario, rese dagli altri testimoni. Il secondo motivo di doglianza viene considerato del tutto vago circa la diminuzione della pena in conseguenza del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La difesa si limita, infatti, ad affermare che vi sarebbero elementi positivi di giudizio non adeguatamente valorizzati dal Tribunale, ma non indica puntualmente quali siano tali elementi. Il ricorso, conseguentemente, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 
 
 

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