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Interruzione di gravidanza e divieto di licenziamento: limiti di buon senso

  • Immagine del redattore: Cristina Bonesi
    Cristina Bonesi
  • 23 lug 2015
  • Tempo di lettura: 3 min

Deve ritenersi esclusa la perdurante efficacia del divieto di licenziamento fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dalla cd. legge sull’aborto, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14723 del 14 luglio 2015.

Il fatto trae origine dal contenzioso instaurato tra una lavoratrice e la società che l’aveva licenziata.

La Corte d’appello ritenne che:

a) il recesso era nullo, in quanto intimato nel corso del periodo dall'inizio della gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino;

b) non poteva esser richiamato nella fattispecie il disposto dell'art. 19 D. Lgs. n. 151/01, che equipara la gravidanza di durata inferiore ai sei mesi alla malattia, costituendo tale disposizione tutela della lavoratrice e non fonte di deroghe alla previsione di nullità del licenziamento;

c) trattandosi di nullità per contrasto di norme imperative, non sanabile e improduttivo di effetti, il licenziamento intimato nel periodo di gravidanza non ha effetti risolutori del rapporto; d) infine le retribuzioni competevano dalla data in cui la datrice di lavoro aveva ricevuto il certificato medico di gravidanza.

Sulla base dei precedenti assunti la Corte d’appello rigettò il gravame (incidentale) proposto dalla spa avverso la pronuncia di prime cure, che aveva dichiarato la nullità del licenziamento per superamento del comporto irrogato alla lavoratrice durante il periodo di gravidanza; in parziale accoglimento del gravame (principale) proposto dalla lavoratrice, condannò la società al pagamento della retribuzione maturata dalla data in cui la datrice di lavoro aveva ricevuto il certificato medico attestante lo stato di gravidanza,

La società proponeva ricorso per cassazione sostenendo, in particolare che, in base alla normativa legislativa e regolamentare disciplinante la materia, non è prevista per il caso in questione (interruzione della gravidanza entro il 180° giorno) la nullità del licenziamento, posto che il regolamento di cui al D.P.R. n. 1026/76 nulla dispone al riguardo in caso di aborto.

La Cassazione osserva ciò che segue. Dalla normativa attualmente applicabile (d.lgs. n. 151/2001, art. 54) si ricava pianamente che il licenziamento è nullo qualora sia intimato nei confronti di una lavoratrice in stato di gravidanza. La previsione di cui all'art. 19 del D. Lgs. n. 151/01 considera a tutti gli effetti come malattia l'interruzione spontanea o volontaria della gravidanza tutelando la lavoratrice, non elidendo, tuttavia, il disposto dell’altra norma (art. 54) nella parte in cui impone il divieto di licenziamento durante la pregressa gravidanza e sanziona di nullità il licenziamento intimato in violazione del divieto.

Ne discende, per i Supremi Giudici, che non è condivisibile l'opzione ermeneutica propugnata dalla società, secondo cui in caso di interruzione della gravidanza entro il 180° giorno non potrebbe ritenersi la nullità del licenziamento intimato mentre la gravidanza era ancora in corso, ma neppure la diversa (e contestata) opzione secondo cui, anche in caso di aborto, l'art. 54 citato sarebbe applicabile nella sua integrale disposizione letterale, ossia con la previsione (assurda e anche per ciò solo da escludersi) di un divieto di licenziamento che si estenderebbe fino ad un termine finale irrealizzabile.

Mentre per gli altri descritti esiti patologici il legislatore ha ritenuto di dettare apposite norme parzialmente modificatrici della disciplina di cui all’art. 54 del D.Lgs. n. 151/01, per il caso di interruzione della gravidanza entro il 180° giorno dal suo inizio non è stato così, reputando implicitamente che il divieto di licenziamento per il periodo di gravidanza (e dunque solo finché la gravidanza stessa non si sia interrotta) costituisse sufficiente tutela della lavoratrice, in aggiunta con la previsione, già ricordata, di considerare come malattia la stessa interruzione della gravidanza. Ne discende il rigetto del ricorso.

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